Ordinanza n. 36 del 2023

ORDINANZA N. 36

ANNO 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Daria de PRETIS;

Giudici: Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco DALBERTI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 23, quinto comma, della legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza), promosso dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, in composizione monocratica, nel procedimento vertente tra V. C. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 24 novembre 2021, iscritta al n. 227 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visti l’atto di costituzione dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 24 gennaio 2023 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

uditi l’avvocato Antonella Patteri per l’INPS e l’avvocato dello Stato Emanuele Feola per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 25 gennaio 2023.

Ritenuto che, con ordinanza del 24 novembre 2021 (r. o. n. 227 del 2021), la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, quinto comma, della legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza), nella parte in cui non prevede che i criteri di calcolo del trattamento pensionistico, riferito alla quota retributiva della pensione, previsti dall’art. 54, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), siano estesi in favore del personale della Polizia di Stato;

che il giudice rimettente premette di dover decidere sul ricorso presentato, in data 18 novembre 2020, da una persona già dipendente della Polizia di Stato, cessata dal servizio dal 29 dicembre 2018, che ha chiesto il riconoscimento del diritto alla riliquidazione del trattamento pensionistico in godimento, conseguente all’applicazione dell’art. 54 del d.P.R. n. 1092 del 1973, in relazione al ricalcolo della parte retributiva del trattamento di quiescenza, con l’aliquota del 44 per cento prevista dalla citata norma;

che, in particolare, ad avviso del rimettente, l’art. 54 del d.P.R. n. 1092 del 1973, espressamente rivolto al personale del comparto militare, deve essere applicabile anche ai dipendenti della Polizia di Stato, in ragione della analogia tra l’ordinamento e le funzioni del predetto Corpo con quelli delle altre forze di Polizia, anche ad ordinamento militare;

che una diversa conclusione determinerebbe la violazione dell’art. 3 Cost., che pone il divieto di disparità di trattamento di situazioni giuridiche identiche;

che l’evidenza del quadro normativo non consente l’applicazione estensiva dell’art. 54 del d.P.R. n. 1092 del 1973 al personale della Polizia di Stato;

che, in punto di rilevanza, il giudice a quo afferma che l’accoglimento della domanda del ricorrente dipende dalla soluzione della questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto la mancata previsione dell’applicazione dei criteri di calcolo della parte retributiva della pensione, previsti dall’art. 54 del d.P.R. n. 1092 del 1973 per il personale ad ordinamento militare, in luogo di quelli meno favorevoli, applicati dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e previsti dall’art. 44 del d.P.R. n. 1092 del 1973 per il personale ad ordinamento civile;

che, in punto di non manifesta infondatezza, il rimettente evidenzia che la differenziazione tra personale militare e personale civile risulta superata per effetto della riforma del sistema pensionistico di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), con il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo per tutti i lavoratori pubblici e privati, come disciplinato dall’art. 1, commi 12 e 13, della medesima legge;

che, inoltre, il giudice a quo rileva che la disposizione di cui all’art. 61 del d.P.R. n. 1092 del 1973 estende l’applicabilità delle norme di cui al Capo II – e, quindi, anche dell’art. 54 – ad alcune categorie di personale ad ordinamento civile, quali i Vigili del fuoco ed il Corpo forestale dello Stato, con conseguente applicazione anche a tale personale, dei criteri di calcolo previsti dall’art. 54 per la determinazione della quota di pensione calcolata con il sistema retributivo;

che, in particolare, nell’ordinanza di rimessione si osserva che la legge n. 121 del 1981, nel prevedere la smilitarizzazione del Corpo della Polizia di Stato, ha espressamente rimandato, per il tramite della disposizione censurata, alla disciplina del personale ad ordinamento civile, con la conseguenza che l’INPS, in sede di liquidazione del trattamento pensionistico del personale appartenente alla Polizia di Stato che alla data del 31 dicembre 1995 abbia maturato una anzianità inferiore ai 18 anni, applica, per il calcolo della quota retributiva della pensione, i meno vantaggiosi criteri di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 1092 del 1973;

che il giudice a quo afferma che tale assetto normativo comporta una discriminazione nei confronti della Polizia di Stato, a fronte della specialità delle funzioni svolte da tale personale, e di mansioni sostanzialmente identiche a quelle del personale delle altre Forze di polizia ad ordinamento militare, quali Guardia di finanza e Arma dei carabinieri, nonché in parte a quelle del comparto “soccorso pubblico”, quali i Vigili del fuoco;

che, pertanto, sussisterebbe la violazione dell’art. 3 Cost, inteso quale canone di ragionevolezza, in virtù del quale devono intendersi non conformi a Costituzione le scelte legislative che comportino discriminazioni intollerabili fra situazioni similari;

che il rimettente ripercorre l’evoluzione che ha condotto all’attuale assetto normativo del personale appartenente all’ex Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, oggi Polizia di Stato, rilevando che la legge n. 121 del 1981 ha determinato una profonda trasformazione dell’ordinamento della pubblica sicurezza, il cui tratto qualificante viene comunemente individuato nella “smilitarizzazione” mediante la soppressione del Corpo degli agenti di pubblica sicurezza e la creazione della Polizia di Stato ad «ordinamento civile»;

che, più specificamente, la riforma del 1981 si è posta l’obiettivo di ridisegnare l’intero sistema di gestione della sicurezza e dell’ordine pubblico, rafforzando il raccordo sul piano funzionale, pur mantenendo ferma la diversità di status ed ordinamento, di tutte le forze di polizia (Arma dei carabinieri, Guardia di finanza e Polizia di Stato);

che, infatti, l’intervento normativo riformatore, nel trasformare l’ordinamento della Polizia di Stato, ha mantenuto ferma la innegabile peculiarità del personale appartenente al predetto corpo rispetto allo stesso personale civile, dipendente dal medesimo Ministero dell’interno;

che, dunque, ad avviso del giudice a quo, deve confermarsi il carattere sostanzialmente unitario delle funzioni e dei compiti espletati dalle varie Forze di polizia, anche a carattere militare, in materia di tutela di sicurezza ed ordine pubblico, così come resta altresì immutata la devoluzione all’Arma dei carabinieri, alla Guardia di finanza ed alla Polizia di Stato, in ragione delle rispettive specifiche professionalità e qualificazioni, delle funzioni di polizia giudiziaria, da svolgersi alle dipendenze dell’autorità giudiziaria (ex artt. 55 e 56 del codice di procedura penale);

che, quanto alla materia pensionistica, il rimettente osserva che una lettura sistematica dell’intero impianto riformatore di cui al d.P.R. n. 1092 del 1973 renda evidente come il legislatore, ferma la distinzione legata allo status civile o militare, avesse l’esigenza di prevedere un regime differenziato, in ragione delle particolari funzioni svolte, anche per altre categorie di dipendenti pubblici;

che, in tal senso, viene in rilievo la disciplina applicabile al personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e del Corpo forestale dello Stato, entrambi pacificamente ad ordinamento civile, nei cui confronti l’art. 61 del d.P.R. n. 1092 del 1973 prevede espressamente, in tema di trattamento pensionistico, l’applicazione delle norme di cui al Capo II, riservate al personale militare;

che, a tal riguardo, il rimettente evidenzia come una analoga estensione al personale del comparto sicurezza non fosse all’epoca necessaria, rientrando il relativo personale (Guardia di finanza, Arma dei carabinieri, l’allora Corpo degli agenti di pubblica sicurezza e Corpo degli agenti di custodia) tutto all’interno del comparto militare;

che, fatta tale premessa, il rimettente ritiene non manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale della disposizione censurata, sul rilievo secondo cui determinerebbe un assetto normativo che non prevedendo per il personale della Polizia di Stato un trattamento differenziato rispetto agli altri dipendenti del comparto “civile” mantiene, irrazionalmente, un regime diversificato per il personale svolgente le medesime funzioni di Forza di polizia, sul solo presupposto del relativo status militare;

che, inoltre, la norma sarebbe ancor più irragionevole, là dove prevede l’applicazione di un regime più favorevole, a vantaggio di personale ad ordinamento civile, quale quello appartenente al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, afferente al comparto soccorso pubblico, le cui analoghe funzioni possono, peraltro, essere svolte anche dagli appartenenti al comparto sicurezza, ivi compresa la Polizia di Stato (art. 16, comma 3, della legge n. 121 del 1981);

che, con atto del 21 febbraio 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio a quo, chiedendo di disporre la restituzione degli atti al rimettente, in considerazione dello ius superveniens costituito dall’art. 1, comma 101, della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024);

che, in particolare, tale disposizione ha esteso anche alle Forze di polizia a ordinamento civile e, dunque, al personale della Polizia di Stato e al personale della Polizia penitenziaria, la disciplina per il calcolo della quota retributiva della pensione, di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 1092 del 1973;

che, con atto del 22 febbraio 2022, si è costituito l’INPS, chiedendo che gli atti siano restituiti al giudice rimettente perché proceda ad una nuova valutazione della rilevanza della questione, a seguito dell’entrata in vigore dello ius superveniens, costituito dall’art.1, comma 101, della legge n. 234 del 2021.

Considerato che la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., ha ad oggetto l’art. 23, quinto comma, della legge n. 121 del 1981, nella parte in cui non prevede che i criteri di calcolo del trattamento pensionistico, riferito alla quota retributiva della pensione, previsti dall’art. 54, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 1092 del 1973 per il personale ad ordinamento militare, siano estesi in favore del personale della Polizia di Stato;

che, successivamente al deposito dell’ordinanza di rimessione, è intervenuto l’art.1, comma 101, della legge n. 234 del 2021, che testualmente dispone «[a]l personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile, in possesso, alla data del 31 dicembre 1995, di un’anzianità contributiva inferiore a diciotto anni, effettivamente maturati, si applica, in relazione alla specificità riconosciuta ai sensi dell’articolo 19 della legge 4 novembre 2010, n. 183, l’articolo 54 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, ai fini del calcolo della quota retributiva della pensione da liquidare con il sistema misto, con applicazione dell’aliquota del 2,44 per cento per ogni anno utile»;

che, pertanto, tale disposizione prevede l’applicazione dell’aliquota del 2,44 per cento per ogni anno utile anche al personale delle forze di polizia ad ordinamento civile, in possesso, alla data del 31 dicembre 1995, di un’anzianità contributiva inferiore a diciotto anni, effettivamente maturati;

che l’introduzione di questo criterio di calcolo del trattamento pensionistico, più favorevole per il personale in quiescenza, investe in modo significativo il quadro normativo in cui si inserisce la norma censurata;

che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, spetta al rimettente la valutazione dell’incidenza di tale sopravvenuta normativa sulla fattispecie oggetto del giudizio a quo (ex plurimis, ordinanze n. 231 e n. 97 del 2022, n. 55 del 2020);

che, peraltro, questa Corte, investita con ordinanza di rimessione dallo stesso giudice a quo, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, della legge 15 dicembre 1990, n. 395 (Ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria), sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che i criteri di calcolo del trattamento pensionistico, riferito alla quota retributiva della pensione, previsti dall’art. 54, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 1092 del 1973, siano estesi in favore del personale della Polizia penitenziaria (sentenza n. 33 del 2023);

che, pertanto, alla luce del mutato quadro normativo, preliminarmente a ogni altra valutazione, va disposta la restituzione degli atti al rimettente per un nuovo esame della rilevanza e della non manifesta infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti alla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, in composizione monocratica.

Così deciso in Roma, nella sede dalla Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 gennaio 2023.

F.to:

Daria de PRETIS, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2023.